Nonostante la tutela della riservatezza e la protezione delle informazioni siano, da sempre, dei capisaldi del codice deontologico dell’attività forense, la moltiplicazione di servizi e tecnologie digitali da un lato e l’evoluzione della normativa dall’altro, hanno imposto agli studi legali un rinnovamento delle competenze e degli approcci necessari per mitigare i rischi

Il contesto

Così come per la quasi totalità dei settori e delle attività anche per gli studi legali l’avvento di internet ha contribuito a cambiare le regole del gioco.

La diffusione delle tecnologie per comunicare e lavorare attraverso la rete ha richiesto all’avvocatura un adeguamento nei processi interni e un cambio di passo sia nell’interazione con i propri clienti sia con gli attori del sistema giustizia (si pensi all’introduzione del Processo Civile Telematico a partire dal 2007). Parallelamente, la normativa in materia di privacy si è evoluta e, a partire dal 1996 con la legge sulla Privacy e in seguito nel 2018 con l’entrata in vigore del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, ha impattato in maniera decisa sull’organizzazione degli studi legali, seppure in modo non paragonabile a quanto in corso relativamente alla trasformazione digitale della professione.

La situazione attuale

In questo contesto la capacità di risposta è stata duplice: da un lato i grandi studi legali sono riusciti a mettere in campo risorse e investimenti per adeguarsi al cambiamento, comportandosi alla stregua di aziende strutturate, seppur non sempre ottenendo i risultati sperati; dall’altro, i piccoli e piccolissimi studi legali, vale a dire quelle tipologie di organizzazione dove è possibile stimare lavorino in Italia tra il 70 e l’80 per cento del totale dei professionisti, faticano ad adeguarsi ai nuovi paradigmi, vuoi per scarsità di risorse, vuoi per mancanza di competenze digitali o per entrambi i fattori.

La situazione è eterogenea anche tra gli studi di ridotte dimensioni. Tuttavia, alla luce dei risultati preliminari di alcune indagini scientifiche tuttora in corso su nuove tecnologie e privacy sembrerebbero già evidenti alcune tendenze. Tra queste: difficoltà nell’uso di strumenti di base come la firma digitale; pervasività dei servizi social e di istant messaging; conoscenza non elevata delle misure di sicurezza per la protezione dei dati e delle infrastrutture IT.

Quali percorsi intraprendere?

Le armi a disposizione dei piccoli e medi studi legali per restare sul mercato e gestire il cambiamento sono riconducili alla formazione e alle norme.

La formazione è da intendere non solo come abilità nell’uso di nuovi strumenti ma soprattutto come consapevolezza delle dinamiche, delle opportunità e dei rischi, non ultimo quello della tutela della privacy, che si celano dietro la trasformazione digitale. Questa consapevolezza potrà guidare i decisori degli studi legali nel saper discriminare tra l’adozione disomogenea di servizi e strumenti a basso valore aggiunto e una visione strategica di data governance che favorisca strumenti e servizi integrati, privilegiando così la semplificazione e contrastando la dispersione di energie causata dalla frammentazione di micro-servizi, tool e procedure.

Le norme sono da intendersi come regole, prassi e comportamenti interni che, una volta condivisi e adottati, modellino i processi alla base delle attività dello studio legale, in un’ottica di responsabilità verso gli stakeholder, siano essi clienti, colleghi e collaboratori. 

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