I cookies sono stati per lungo tempo una costante della mia vita. E una certezza. Croccanti e burrosi biscotti arricchiti da gocce di cioccolato. Una sostanza ad alta carica antidepressiva in grado di alleviare i momenti più bui e dare un senso pieno all’esistenza. Fino a quando hanno subito una trasmutazione genetica e sono apparsi sulla scena digitale. Da quel momento il cookie è diventato indigesto. Il gemello digitale di quel biscotto è ora parte integrante e insopprimibile di una qualsiasi dieta digitale. Non se ne può fare a meno e ne va di mezzo il metabolismo mentale, ormai alla frutta.
Mi auguro, quindi, che venga definitivamente rimosso e non più utilizzato. Intossica. Come strumento abilitante il consenso informativo, il cookie è quanto di più diabolico la mente umana abbia potuto concepire nel suo iperbolico passaggio all’era 4.0. Altro che user experience semplificata! La modalità per dare la possibilità agli utenti di stabilire il trattamento dei dati personali è una lista di quiz di fronte ai quali, il più delle volte, si rimane interdetti. Si no, no si, una spunta di qua e una di là. Per poi avere la sensazione che, forse, le risposte che abbiamo dato erano sbagliate. Sì sbagliate, nel senso che l’esito del tutto, spesso, a posteriori, non corrisponde a quello che avevamo immaginato.
E poi, scusate, ma è mai possibile che per avere accesso a pagine e pagine del nostro percorso quotidiano sulle autostrade di Internet si debba spendere tempo per compilare schede formulate dai peggiori burocrati azzeccagarbugli dell’era analogica? Nella vita reale, quella dei cookies fatti di burro e cioccolato, se fossi un consumatore compulsivo e visitassi negozi o incontrassi persone cui fossi obbligato a rilasciare mio consenso informativo sulla privacy nelle stesse forme in cui viene proposto su internet, cadrei in uno stato zombie permanente.
Certo, ci sono aziende che hanno imparato a creare biscotti digitali a prova di user experience. Intelligibili, semplici, la cui comprensione non alimenta incertezza. Eppure, il sistema in sé credo vada superato, o quanto meno migliorato. Semplificherebbe, e di molto, la nostra vita. Essere contrario ai cookies non significa e non vuol dire mettere in discussione la privacy. Tutt’altro. Significa pensare a modi più intelligenti, trasparenti e immediati per stabilire le relazioni su internet. Sarebbe una grande notizia. E se accadesse davvero le mie giornate potrebbero tornare ad essere quelle che sono state in passato, burrose e al cioccolato. L’occasione non va sprecata.
Dopo avere avuto accesso previo consenso cookie style a uno dei tanti siti su internet (a proposito, credo di aver cliccato accetto senza verificare il cosa), leggo ora quanto segue: “In un blog post pubblicato giovedì 24 giugno, la società americana Google ha annunciato che Chrome continuerà a supportare i third-party cookies per quasi due anni in più del previsto, spostando formalmente il via alla loro graduale eliminazione da gennaio 2022 fino a verso metà 2023, per completare il processo di dismissione entro fine dello stesso anno”
Nel blog post, Google ribadisce l’importanza dell’eliminazione dei cookie di terza parte ma parla, allo stesso tempo, di un processo che richiede “ritmi responsabili”. “Se da una parte il progetto ha fatto notevoli passi avanti, è diventato chiaro che è necessario più tempo affinché l’intero ecosistema possa trarne il massimo vantaggio”, scrive Vinay Goel, Privacy Engineering Director del colosso di Mountain View. Ritmi responsabili…. Mmmmmmmmm